mercoledì 23 dicembre 2009

Una gabbia per la belva




Passa martedì, e dei "ciapa-can" direbbe mio suocero, nemmeno l'ombra. Passa anche mercoledì mattina e ancora nessuno in vista. Siamo al 23 di dicembre e abbiamo il forte sospetto che i solerti dipendenti dell'ASL preferiscano lasciar passare le festività prima di agire. Allora Anna, alle ore 14.00 prende il telefono e chiama il veterinario: "mi scusi, cosa ne direbbe se domani, vigilia di natale, comparisse sul corriere un bell'articolo su come un povero cane venga lasciato solo in mezzo ai campi poichè i responsabili dell'ASL non vengono a prenderlo?". Anna gioca tutte le sue carte e fa cenno anche ad una povera bambina che aspetta il cane e così via.
Risultato: dopo un'ora sono davanti a casa mia sia i due accalappiatori sia il veterinario. Muniti di gabbia cattura-belve la spedizione si mette in moto verso i campi.
Arrivati sul posto notiamo che Giuditta ci osserva molto incuriosita, probabilmente sarà la cosa più ridicola che le capiterà di vedere in tutta la sua vita.
Il ciapa-can con la testa bovina porta la gabbia, ansimando come un ferro da stiro, e la posiziona in loco, sotto il cascinotto di Bruno, prontamente e precedentemente avvisato delle nostre intenzioni. Ora occorre piazzare il cibo che attirerà la belva. Il veterinario chiede se è stato portato il cibo e i due scienziati sorridendo dicono di averne una buona dose.
Occorre specificare che la gabbia era strutturata in modo tale da permettere all'animale di entrare, invitarlo ad afferrare il cibo collegato alla fune a sua volta attaccata ad un gancio che, una volta tirato, avrebbe fatto cadere a ghigliottina la chiusura, intrappolando l'animale.
Ovviamente l'animale doveva esercitare una discreta trazione sulla fune per far scattare la chiusura.
Quindi nel momento in cui i due ciapa-can hanno tirato fuori il "cibo" che avevano portato per innescare la trappola io e il veterinario ci siamo guardati negli occhi senza il coraggio di dire nulla: tra le mani stringevano una scatoletta di cibo per cani, umido. Ma non è finita.
Il più anziano fa un cenno col capo al bovino, probabilmente è abituato ad interloquire con lui utilizzando solo il linguaggio corporeo, invitandolo chiaramente ad entrare nella gabbia per sistemare l'esca. Operazione che a noi, data la stazza del bovino e la esigua grandezza della gabbia, pare impossibile. Lui si mette carponi, stringendo nelle mani tozze la scatoletta, e avanza sbuffando. Il ruminante procede strisciando come un marine ed arriva finalmente in posizione, ma si accorge che l'operazione di legare la scatoletta alla fune appare moooolto problematica. Ma va?
Inizia a sbuffare come una pentola a pressione, tentando in mille modi di legare la povera scatoletta alla corda.
Pare impossibile ma dopo 10 minuti circa ci riesce, in qualche modo, e sempre in qualche modo riesce pure a sgusciar fuori dalla gabbia gattonando a ritroso. Quando emerge è coperto di sudore, anche se ci sono 2 gradi, si prende una bella pacca sulla schiena dal suo capo, si avvia verso la macchina, si spiaggia sul sedile e dopo 2 minuti è già catatonico.
Noi ci avviamo sconsolati verso casa, è quasi buio e ormai dobbiamo solo sperare nella stupidità di Giuditta. La qual cosa, è tutta da dimostrare.

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